Tempo fa scrivemmo un post che potete leggere qui www.esserevento.it/?p=297
Ora eccovi il seguito
Cari amici e compagni
Tempo fa di ritorno dalla vacanza estiva dai paesi del nord Europa facevo notare di quanto si possa essere colpiti per l’alta qualità della vita.
Non che l’individualismo e il consumismo siano assenti, non che anche lì non si percepisca un vento liberista, tanto che alcuni governi sono ora retti da coalizioni di centrodestra, ma la percezione che si ha è che in questi paesi sia sicuramente più consolidata una diffusa coscienza civica e un più elevato senso di solidarietà fiscale con un conseguente maggior radicamento di un Welfare State universalistico e di politiche ambientali, che convivono tuttavia con tassi di crescita economica elevati, quasi a voler falsificare i dogmi neoliberisti.
Di fronte a questa realtà mi domandavo, nei termini di una provocazione in primo luogo rivolta a me stesso e alla mia riflessività, cosa poteva voler dire, per quei cittadini, la parola comunismo.
Tempo dopo un’autorevole esponente di Rifondazione, anche se ora ridotto allo stato “laicale” di semplice iscritto, dichiarava che il “comunismo è indicibile”.Frase successivamente corretta seppur non smentita.
Frase che merita attenzione.
Io non credo che affermare che il comunismo è indicibile possa vietare di dichiararsi comunisti, né tantomeno significa dire che il comunismo sia qualcosa di irrealizzabile, una pura fantasia.
Insomma che l’indicibilità sia di principio. L’indicibilità è probabilmente storica.
Nel senso che oggi chi si dichiara comunista non ha le parole e il pensiero per indicare quel progetto. L’indice che vuole alzarsi a mostrare la luna appena scorge il profilo solipsistico della propria ombra che si confonde nella notte.
Insomma dichiararsi comunisti non basta a creare fiducia e ottimismo e credibilità nel comunismo perché quella parola non illumina né analiticamente, né sinteticamente, un progetto e una proposta.
Detto altrimenti l’impegnativo compito di rifondare il comunismo è ancora allo stato delle pure intenzioni.
Al massimo è un conato per indicare un più di giustizia, una maggiore richiesta di uguaglianza, un rifiuto dello stato di cose esistenti, una lotta e un contrasto al “sistema” capitalistico, un negativo ma difficilmente un positivo. Facendo eco a un grande borghese come era Eugenio Montale, spesso sappiamo solo dire ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Ma basta per affermare il comunismo?
E il sostegno alle lotte che diamo ai movimenti è di per sé sufficiente a darci una strategia verso il comunismo? Non voglio entrare nel merito del dibattito dentro Rifondazione. E questo mio intervento non vuole schierarsi né per l’una né per l’altra parte. Avverto però il rischio di due fondamentalismi identitari e nominalistici che si elidono e si immobilizzano a vicenda. Forse allora la strada è come sempre fuori dai fini ultimi. Il comunismo è ora indicibile. Ma cosa possiamo fare adesso. Su questa terra, nel regno dei fini penultimi? Nel tempo di questa crisi economica e sociale che si presenta difficile e lunga, che metterà in difficoltà vitale ed esistenziale centinaia di milioni di persone e aumenterà anche in Italia povertà, precarietà, disperazione. Quali sono le parole d’ordine per portarci fuori dalla crisi da “sinistra” e non da “destra”. Sapendo che uscire da “sinistra” non sarà un planare nella società comunista, ma probabilmente in una nuova forma di compromesso sociale dentro una realtà statale o sovrastatale pluriclasse.
Insomma dentro un nuovo compromesso democratico senz’altro diverso per certi versi da quelli che abbiamo conosciuto dall’ultimo dopoguerra, ma che pure vede le rappresentanze delle grandi masse popolari e dei ceti medi spostare a loro favore gli equilibri economici e sociali, nella direzione ulteriore di una democrazia progressiva. (Non uso a caso un togliattismo, sapendo che la fine dell’Urss oggi non permette più alcuna doppiezza). Certo tutto questo ha bisogno di lotte, ha bisogno di movimento. Ma ha soprattutto bisogno di una direzione (minuscola).
Nel senso di una tattica e di una strategia. Che oggi non si avvertono in primo luogo come senso comune di cultura politica e in secondo luogo dentro chi ha compiti di indirizzo politico. Che si dichiari o meno comunista. In questo contesto mentre si discuterà a lungo sull’indicibile altri riprenderanno le fila della ristrutturazione capitalistica. Perché questa non è la fine del mondo ma semplicemente una fase possibile di una ristrutturazione del capitale che potrebbe rilanciare poi una altra fase di accumulazione neoliberista. Con un nuovo? centro capitalistico – quanto “democratico”? – e semiperiferie della nuova economia mondo come l’Italia alla deriva e governate da un regime autoritario e plebiscitario, se non anche e dichiaratamente fascista. E periferie gettate nel caos più totale di povertà, epidemie, fame, guerre civili e imperiali. Oppure se ne uscirà ristrutturati, ma con economie policentriche complessivamente stagnanti o stazionarie. Come fare allora diventare questa stagnazione capitalista una economia sociale e positivamente stazionaria (non statica)? Come fare diventare la stagnazione occasioni per ripensare una nuova socialità o un diverso rapporto con l’ambiente? Come ripensare la democrazia e i diritti individuali e sociali che la accompagnano indissolubilmente? Come soprattutto fare che il lavoro non venga ripartito fra i pochi con l’esclusione dei molti? Come fare del lavoro una realtà di arricchimento personale e una occupazione per tutti, e più in generale come dare all’attività degli uomini che prosegue dentro e fuori il “lavoro” una dimensione di liberazione individuale e sociale che li faccia uscire dal consumismo nella direzione di una nuova società sobria e solidale? E se ci sono altre vie congetturabili di uscita dalla crisi, le si indichi e le si spieghi.
E soprattutto le si attrezzi con le politiche necessarie per percorrerle. Perché questo è il vero compito. Dove andare, come, con chi, per che cosa, contro chi e contro che cosa. In modo molto laico e credibile. Aperto ai molti. Per una resistenza non di nicchia, non identitaria, aperta ai molti, nella direzione di una forma più alta di democrazia. E non so se per strada si incontrerà -per grazia- il comunismo. Oggi, più che indicibile per principio, molto improbabile. Improbabilità non incompatibile con nuove radicalità e nuovi soggetti.
E la lotta e il conflitto. E la loro unificazione consensuale in questa fase.
Alessandro Magni
3 pensieri su “IL COMUNISMO E’ INDICIBILE pensieri di fine autunno”