Io so chi può salvare il Teatro Sociale di Lecco.
Ho letto l’editoriale del prof. Gianfranco Scotti – lunedì su La Provincia di Lecco – sui pericoli di chiuderlo “temporaneamente” da parte del Comune di Lecco, quel temporaneamente
che diventa “per sempre”. E ho letto anche che non vede quale sia il privato che possa farsi carico della sua Gestione essendo un operazione in perdita.
Non vorrei sembrare arrogante – anche perché non ho nessun merito – ma io so chi può salvarlo il Teatro Sociale. E lo so perché me l’ha detto lui – con dovizia di particolari – in uno scambio su facebook poi ripreso da http://lecconews.lc/news/lo-salvo-io-il-teatro-ma-a-loro-non-interessa-il-dibattito-diventa-social-25525/
Questo lui non è un millantatore è Luca Radaelli di Teatro Invito. Per capirci è lo stesso che da 16 edizioni organizza Festival di Teatro Popolare di Ricerca L’ultima Luna d’estate nel Parco di Montevecchia e del Curone. 30 spettacoli in 2 settimane. Qualità, pubblico e sperimentazione. Con un quinto dei soldi che spende il Comune di Lecco.
Radaelli mi scrive – l’intervento è pubblico su facebook: “Io lo so come si fa….ma a loro non interessa”.
Quei loro sono il Comune. Ed è questo il problema, la denuncia da fare. Perché Teatro Invito e Radaelli si spinge più in là: “Mi piacerebbe farlo gratis per un anno per dimostrare che avevo ragione io! L’unico timore sarebbe quanto mi remerebbero contro gli uffici. Perché sono abituato a gestire le cose dall’A alla Z mentre qui chissà quante forche caudine!”
L’ho stuzzicato:“chiedi carta bianca. E cosa offri, garantisci?”
Non si è eclissato:“Lo stesso numero di presenze e lo stesso livello qualitativo/culturale. Altrimenti sono capaci tutti”.
Il dado mi par tratto e pure la nobile sfida. Forse, parere personale, ci scampiamo la figura di tolla di ospitare a fine settembre la “Festa Nazionale del Teatro” e poi chiuderlo, il Teatro.
Servirebbe ora conoscere – in dettaglio – il budget del Teatro Sociale di Lecco. Chissà se l’Assessore alla Cultura Michele Tavola ha voglia di renderlo pubblico. Qui pare evidente che c’è qualcuno, che ha storia e competenze, di decenni, che dice che può far risparmiare allo stesso Comune 400.000 euro. Salvando il Teatro.
“Io lo so come si fa….ma a loro non interessa”. Ecco lì, a Palazzo Bovara vogliono raccogliere la sfida?
il teatro ai privati? Pensiamoci bene Teatro ai privati? Pensiamoci bene
GIANFRANCO SCOTTI
Recuperare il Teatro della Società, riconsegnato ai cittadini lecchesi il tre novembre del 1969, dopo un lungo e intelligente restauro, fu per la nostra città un evento di grande rilevanza culturale e civile, specialmente se si considera che in quegli anni, e in modo particolare nei decenni precedenti, un gran numero di teatri storici in Italia venivano abbattuti, vittime dell’ignoranza e della speculazione edilizia. Per restare nella sola Lombardia, andarono perduti lo splendido Sociale di Varese, più antico della Scala di Milano, il Teatro Comunale di Treviglio, il Pedretti di Sondrio, svuotato e ormai ridotto ad anonima sala senza storia. Lo stesso destino incombeva sul nostro Teatro, chiuso nel 1951 perché dichiarato pericolante e condannato all’abbattimento nel Piano Regolatore dell’epoca. Fu solo grazie alla reazione dell’opinione pubblica, organizzata in un Comitato promosso da Giacomo De Santis, che fu possibile salvare uno degli edifici più significativi del nostro tessuto urbano, così come è giusto ricordare la grande sensibilità dimostrata da due Sindaci, Angelo Bonaiti prima e Alessandro Rusconi poi, che presero a cuore le sorti del Sociale riuscendo, dopo estenuanti peripezie, a entrare in possesso di tutte le quote proprietarie detenute da una pletora di eredi dei cinquantaquattro palchettisti, sparsi in Italia e all’estero. Da quel tre novembre il Teatro della Società è divenuto il punto di riferimento dell’iniziativa culturale lecchese, il luogo deputato alla programmazione degli spettacoli di prosa, dei concerti, delle manifestazioni promosse dalle più diverse associazioni che operano sul territorio. Fino al 1984 la gestione del teatro fu affidata a una Commissione Ammministratrice nominata dal Consiglio Comunale che presiedette con competenza e passione alla complessa attività promossa e ospitata dal teatro. Da quell’anno, infatti, non furono più consentite per legge le gestioni fuori bilancio e fu quindi l’Amministrazione Comunale ad assumersi direttamente, attraverso l’Assessorato alla Cultura, la responsabilità della programmazione e della gestione. Apprendiamo ora che la stretta finanziaria in cui si dibatte il Comune, lo obbliga a prendere in considerazione la possibilità di darlo in gestione ai privati. Si comprendono agevolmente le motivazioni che spingono i nostri amministratori a ricercare soluzioni diverse e meno gravose per le casse comunali, in tempi grami come quelli che stiamo vivendo. Se davvero la gestione teatrale venisse appaltata a privati, per il glorioso Teatro della Società si aprirebbe la quarta stagione della sua lunga storia. La prima, dalla fondazione nel 1844 alla cessazione dell’attività nel 1951; la seconda dalla sua riapertura nel 1969 affidata alle cure della Commissione Amministratrice; la terza dal 1984 a oggi con la gestione diretta del Comune e la quarta, se il progetto andasse in porto, che vedrebbe la massima istituzione culturale della città sganciata dalla responsabilità diretta dell’Amministrazione Comunale e la presa in carico da parte di un privato di tutta la programmazione spettacolare e concertistica del teatro. A prescindere tuttavia dal fatto che nessun privato, ne siamo convinti, accetterebbe di assumersi la gestione di una struttura votata, per le sue ridotte dimensioni, a insanabili perdite d’esercizio, ci sembra che sarebbe molto grave la rinuncia da parte del Comune ad occuparsi della programmazione del teatro cittadino. Occorre una soluzione diversa, meno radicale e più rispettosa della storia e dell’importanza del Teatro della Società. Non vorremmo che la decisione di sospenderne l’attività, nell’attesa di affidarla a improbabili gestori privati, ne decretasse una seconda volta l’abbandono e il declino con il conseguente decadimento dell’edificio, tra i più nobili e rappresentativi della città, quel declino che ha dolorosamente colpito altri monumenti simbolo, come villa Ponchielli e, summa iniuria, villa Manzoni.