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GLI INFORTUNI SUL LAVORO intervento inviatoci da sergio bologna

 

Io non credo che interventi legislativi o misure organizzative (come ad es. la creazione di un pool di magistrati specializzato) possano produrre effetti di una qualche rilevanza nella lotta agli incidenti mortali sul lavoro. Com’è possibile prescrivere una terapia quando non si conoscono le condizioni del paziente? Posso peccare di presunzione, ma sono quasi certo che le istituzioni non hanno presente la mappa del mercato del lavoro in Italia, nemmeno a grandi linee. E quindi non hanno la più pallida idea della mappa del rischio. Cominciamo da un dato: il differenziale di circa 2,4 punti percentuali tra l’incidenza dei morti sul lavoro in Italia rispetto al resto dell’Europa è dovuto al fatto che da noi si muore “in itinere”, cioè mentre ci si sposta per lavoro o per andare o tornare dal luogo di lavoro. Quindi “il luogo” di lavoro di per sé, concepito come luogo fisico, non sarebbe più rischioso in Italia di quanto sia quello di altri Paesi europei. E’ lo spazio della mobilità quello più rischioso. Perché? La rivoluzione postfordista ha agito in due direzioni: 1) ha man mano “dissolto” il luogo di lavoro come spazio fisico separato mischiandolo sempre più al luogo di vita privata e lo ha dilatato nello spazio (despazializzazione del rischio), 2) ha – come in nessun altro Paese d’Europa – affidato la gestione del rischio a un’entità particolarissima, quella che forma la caratteristica più tipica dell’Italia, cioè la microimpresa. E quando intendo microimpresa intendo un’entità talmente piccola che stento a riconoscere in quella le caratteristiche istituzionali di un’impresa – cioè di qualcosa che ha bisogno almeno di tre ruoli sociali, il capitale, il manager e l’operaio. (se vuoi leggere anche il resto, continua qui)

DECRESCITA GENETICA

Il concetto di decrescita é stato elaborato da un circolo di economisti e sopratutto antropologi, di cui l’esponente più divulgato é S. Latouche.
Latouche é un economista che, integrando le scienze antropologiche, ha imposto un differimento sostanziale al paradigma economico dominante, deprivando il concetto di crescita sostenibile.
L’economia, per quanto, almeno fino allo scorso anno, sia stata reputata una disciplina scientifica incapace di verificare le proprie teorie per l’inesistenza di un laboratorio sociale in cui impostare esperimenti, sembra rimanere, paradossalmente, isolata da altre discipline sociali.
L’economia ha stretto un legame solido con la meccanica newtoniana e, di conseguenza, ne subisce tutti i limiti e le impossibilità applicative.
A fronte di ciò, é particolarmente patetica l’ arroganza con cui alcuni paradigmi economici sono stati imposti nonostante, appunto, l’inattuabilità perfino teorica.
Con la stessa arroganza, il neo liberismo é stato assunto a feticcio della divulgazione del pensiero unico di destra ed é divenuto il modello dominante.
Come già detto, e credo anche dimostrato anche in questo sito, il neo liberismo é solo la copertura, il travestimento, di forze monopolistiche di natura economica finanziaria e politica che hanno governato il lato marcio della globalizzazione.
Se ne é reso conto anche Tremonti, il concetto é disponibile a tutti.
Il lato padronale che nelle nazioni sviluppate ha concentrato la ricchezza in mano a pochi trasferendola dal reddito da lavoro dipendente.
Se qualcuno si impressiona che il 10% delle famiglie italiane detengono più del 45% della ricchezza, meglio non indagare cosa succede in altre nazioni “sviluppate”.
Lo strumento privilegiato di rilevazione del ciclo é stato finora il PIL, definito intorno agli anni 30.
Il PIL misura sostanzialmente la produzione nazionale a prezzi di mercato.
Come già affermato in anche in altre sedi, le nazioni unite hanno elaborato un indicatore dal 1990, l’Human Development Index, alternativo al PIL, in grado di considerare lo stato dei diritti umani, la scolarizzazione, i servizi sociali e sanitari. (se vuoi leggere anche il resto, continua qui)

Nota:LA PRIVACY DEL MACCHINONE TURBO (in merito alle dichiarazioni dei redditi rese pubbliche)

La privacy del macchinone turbo

Oh, me tapino, ingenuo e gattino cieco che non sono altro! E io che credevo che già il fisco avesse tutti i miei dati incrociati, l’Iva e l’Irpef e il diavolo che se lo porta. E che sapesse che macchina ho, e se posseggo (no) uno yacht di trenta metri, oppure se posseggo (no) una casa in montagna, o al mare, o un residence che figura come catapecchia per pastori e invece ha tre piscine, oppure la villa di alcuni ettari che per andare dal salotto al cesso ci vuole il motorino! Nella mia infinita e vanagloriosa supponenza io credevo che tutte queste cose esistessero già e che da qualche parte nel segreto ventre dello Stato qualcuno potesse digitare il mio nome su un computer e dire: «ah, ah! Si è comprato una stampante!». O che magari si sapesse, e suonasse un pochino sospetto, che il mio vicino dichiari un reddito da badante polacca e se la rida salendo sul suo gippone biturbo da centodieci mila euro che consuma come lo shuttle! Io credevo che tutto questo esistesse già, che fosse ovvio e naturale e invece apprendo che no, non esiste, forse esisterà, ma per il momento no, e solo ora Visco promette di farlo. Così ora mi tocca sentire gli allarmi e le contumelie dei liberisti contrari all’anagrafe tributaria individuale. I pianti degli alfieri degli alti redditi minacciati dalla lotta fiscale di classe. Le stridule lamentazioni dei teorici del meno-stato-più-mercato che si appellano alla privacy. Lo stato sa dove vivo? Che macchina ho? Sacrilegio! E la mia privacy? Ma una volta imparata l’arte dei dati incrociati, non si smette più. E dunque basta incrociare questa solenne levata di scudi con altre prese di posizione degli stessi arguti pensatori per accorgersi che qualcosa non torna. Non si occupavano di privacy quando le nostre città diventavano un’immensa telecamera per il «controllo del territorio»? Non si angosciavano per l’arroganza dello stato quando decidevano che un ragazzino poteva finire in galera per due canne? No, anzi. In decine e decine di casi lo stato forte gli piaceva parecchio, a questi teorici della privacy ad alto reddito. Tolleranza zero! Finché non ti sale in barca, la tolleranza, o sul macchinone, o non ti entra nel villone. E allora d’incanto, ecco che non la tollerano più, e si appellano alla privacy. Porca miseria, va bene la tolleranza zero, ma bisogna proprio fatturarla?

Alessandro Robecchi (il Manifesto) 23. 08.06

1 MAGGIO FESTA DEL LAVORO

 

 TORINO – Dicono che Luigi Roca avesse la faccia di chi per anni ha assorbito la tristezza, giorno dopo giorno, fino a disegnarsela sul volto, tra i lineamenti, come una ruga.

Dicono anche che due settimane fa quella faccia invece e stranamente sorridesse: “Stavolta ho trovato il lavoro giusto, mi assumeranno, durerà”. L’aveva detto al suo amico Vito, vicino di casa e sindacalista.  Erano al parco giochi di Rocca Canavese, c’erano anche i bambini.

Invece Luigi si è ucciso, perché era tutta un’illusione e la tristezza era ormai dentro la sua storia, non solo sul suo viso.“Mi ammazzo perché insieme al lavoro ho perso la dignità”. L'”ottava vittima” della Thyssen, 39 anni, non ha mai lavorato nella fabbrica della morte. Ma la sua azienda, la Berco di Busano Canavese, faceva parte del gruppo tedesco. E il suo contratto, interinale, non è stato rinnovato perché la Thyssen adesso ha 150 persone “da collocare”, come si dice terribilmente in questi casi.Come se le persone fossero i pezzi di un incastro.

Però Luigi era diventato il pezzo stagliato: di troppo, e già troppo vecchio. Trentanove anni, un’età da matusalemme se cerchi il posto fisso. Ma ci aveva creduto. Dopo quattro anni di rimbalzi, un mese, due mesi in fabbrica e poi a casa, era arrivato un impiego giusto, più solido. “Durerà”. Lui, che non aveva un carattere facile, stavolta andava d’accordo con i colleghi e i superiori, non come quell’altra volta alla “Canavera e Audi”, stampaggi industriali: lì, dopo quindici anni se n’era andato per colpa di un brutto screzio con un capo.Perché Luigi aveva dentro una storia difficile e un’adolescenza inquieta. Ne era uscito meglio di suo fratello, che è in carcere. Aveva trovato una donna, Barbara, con la quale stava da dodici anni, si erano sposati ed erano nati Niccolò e Davide, 6 e 7 anni. Barbara Agostino, che fa le pulizie in un’azienda di stampaggio e adesso dice tra le lacrime: “Mio marito si è ucciso perché si sentiva umiliato. Chissà cosa deve avere provato, dentro, per decidere di farla finita. Se quell’azienda gli avesse rinnovato il contratto, ora non sarei una vedova con due figli piccoli da allevare”. Quindici anni in fabbrica, poi quattro a spasso, a chiedere e non ottenere mai. (se vuoi leggere anche il resto, continua qui)

CRESCI FINO A ZERO 9 maggio ore 21 A LECCO

CRESCI FINO A ZERO

una serata A LECCO per parlare di territorio e quartieri

con
Domenico Finiguerra
(sindaco di Cassinetta di Lugagnano – Mi)

 

introduce
Alfio Sironi
associazione Gruppo Valle della Nava

VENERDI 9 MAGGIO ORE 21
SALA CONFERENZE BANCA POPOLARE DI SONDRIO
VIA AMENDOLA ANG C.SO MARTIRI – LECCO

VEDI VOLANTINO ALLEGATO crescifinoazero

Si possono mettere in rete i Comitati spontanei che si sono già costituiti nel territorio sulla tematica dell’urbanistica?

Si deve promuovere o sostenere l’insorgenza di nuovi comitati o consigli spontanei, in presenza di aree o zone del nostro territorio che hanno una destinazione a rischio speculativo o ambientale?

Si può condividere con i Comitati/consigli in lotta una comune idea dello sviluppo della città e delle sue aree, muovendosi sul duplice lato della opposizione/resistenza e contemporaneamente della proposta/progetto alternativo?

E’fondamentale ritenere che debba essere considerato come elemento della proposta anche il NON FARE, ritenendo riduttivo, dal punto di vista ambientale e urbano, considerare le alternative come esclusivamente interne a un fare?

La prospettiva primaria deve muoversi in primo luogo nella direzione della PREVENZIONE e non limitarsi a intervenire solo a posteriori per tamponare o contenere i danni, prodotti da pianificazioni sbagliate?

Portare l’attenzione sulla formulazione di alternative possibili, in primo luogo sulla discussione e approvazione del nuovo PGT (Piano di Governo del Territorio) e degli altri strumenti di pianificazione è una strada operativamente particabile?

Per far tutto questo è essenziale a questi fini promuovere una cultura e una formazione civica diffusa sull’uso dei suoli e del territorio urbano.
Cultura e formazione in cui ci si impegna direttamente ma si sollecitano anche le istituzioni del territorio, come Comune e Provincia, perché impegnino le loro risorse formative e informative non solo per gli addetti ai lavori, ma anche per le realtà aggregative e singole della società.
Formazione e cultura che sono funzionali all’azione e all’intervento di una cittadinanza attiva.

Per tutto questo abbiamo organizzato
VENERDI 9 MAGGIO ORE 21 A LECCO
CRESCI FINO A ZERO

per portare l’esperienza e discutere con chi questi percorsi, queste domande se le è gia poste e operativamente, in termini amministrativi, ha messo sul campo alcune risposte possibili.

VALE LA PENA ESSERCI

CHE SI COMINCI A FARLE ASSAGGIARE L’ASPREZZA DELLO SCONTRO

de-andre-canzone-del-maggio

Sono personalmente convinto che l’esito di queste elezioni è stato determinato dal successo di quella tattica che prevede di interpellare la pancia degli italiani più che la loro testa.

Si tratta di quel richiamo alla parte più retriva della società, meno acculturata e sapientemente ‘educata’ dai mass media ad aver paura del ‘diverso’ nelle sue varie accezioni (extracomunitario, gay, rom, comunista, ecc.) e che coltiva come progetto di vita, senza ritenersi conformista, il rifugio nell’ordinarietà, nella normalità, nell’usualità…

L’enfatizzazione massmediatica di crimini commessi dai ‘diversi’ raggiunge l’obiettivo di spaventare strati sempre più larghi della società che si aspettano dalla politica risposte in termini di sgomberi, muri eretti, repressione poliziesca.

Una parte di società sapientemente gonfiata dai mass media fino a diventare maggioranza e che si esprime politicamente come una vecchina spaventata che si stringe al petto il borsellino. Borsellino, fra l’altro, sempre più vuoto in seguito al processo di distribuzione del reddito al rovescio, vale a dire dalle fasce meno abbienti a quelle già privilegiate. Tuttavia questo processo non è in cima alle preoccupazioni di questa parte di società poichè il privilegio viene ideologicamente elevato come valore in sé, a prescindere dal merito che lo ha originato (a proposito di meritocrazia …).

Il privilegio di essere nati in una zona geografica anziché in un’altra.

Il privilegio di appartenere ad una certa etnia. Il privilegio di essere nati in una famiglia benestante. Il privilegio di poter uscire da una situazione di precarietà sposando il figlio di un milionario… Era scontato che rispondere ad un’offensiva di questo genere scimmiottando sul piano culturale la destra e candidando prefetti, generali, imprenditori, avrebbe condotto ad una Waterloo poiché la gente preferisce l’originale alla fotocopia.

Ci sarebbe da riflettere poi, ma con chi ne mastica di politica e non chi la vede solo attraverso la dimensione virtuale dei talk show televisivi, se la sinistra, quella vera, quella credibile cioè lontana da questa classe dirigente (locale e nazionale), quella che non si propone di insediarsi in questa società ma che si propone di cambiarla, venga messa definitivamente fuori gioco dall’esito di queste elezioni o piuttosto se non esca rafforzata.

Forse è giunto il momento che si smetta di inseguire e assecondare, sperando di mitigarne la perniciosità, quella parte di società che ama la ricchezza e il privilegio e che si cominci a farle assaggiare l’asprezza dello scontro.

a forza di essere vento