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LA CONCORRENZA CHE NON C’E’

Posso stupirmi dell’ingenuità o della furbizia grezza del Rappresentante degli ambulanti Beri dopo le sue dichiarazioni (sulla Provincia di Lecco del 20/08) a seguito della presunta aggressione ai vigili da parte dei venditori abusivi?

Beri vuol far credere che questi ultimi facciano concorrenza sleale ai suoi rappresentati che invece sono regolari e che il prossimo rischio è che la rissa avvenga non più tra vigili e abuisivi ma tra quest’ultimi e gli ambulanti lecchesi. Di fatto lasciando intendere che saranno i suoi a muoversi per primi.

Ecco mi stupisce l’ingenuità o la grezza furbizia di chi vuol far credere appunto che  ci sia concorrenza, e per giunta sleale, tra i venditori abusivi del lungolago e piazze del centro e i suoi regolari relegati al mercato.
Guardiamo i fatti non suolo i luoghi. Sulla regolarità degli scontrini è indubbio che siano meno fuori legge al mercato.
Per numero certamente, per importi è da verificare. Il volume di affari è indubbiamente sproporzionato.

Beri vuol far credere a tutti i lettori che è in corso una concorrenza sleale a loro danno.
Ma i venditori regolari del mercato vendono dvd pornografici? Vendono braccialetti di corda? Cagnolini di pezza che scodinzolano? Incenso? Cover colorate dei cellulari? Borse griffate false? Accendini…?
Perché se non vendono le stesse cose – e sappiamo tutti che non vendono le stesse cose – la concorrenza non c’è e si sta usando un episodio deplorevole – le presunte botte ai vigili – e una situazione di disagio data dalla fame e dall’estrema precarietà quotidiana, per interessi personali e di categoria evidentemente non altrimenti sostenibili.

Leuci:LA CITTADELLA DELLE SCUSE

Pare più la storia della volpe e l’uva che la delusione per la miopia delle Istituzioni quella che gira intorno alle dichiarazioni sulla mancata assegnazione del Bando regionale per la (futura) Cittadella della Luce sull’area Leuci. Prima l’assessore Dadati, poi il sindacalista della Cgil Pirelli, in mezzo gli imprenditori che sembrano già levare le tende e defilarsi. Tutti parlano della miopia della politica nel non comprendere un progetto vincente, di eccellenza, con un futuro luminoso e quindi meritorio dei 300.000 euro di premio. E qui l’uva diventa acerba e la volpe più frignona che sincera. Assessori, sindacalisti, imprenditori che auto-giustificano fallimenti e ritirate. E’ come sentire quelli che si nascondono dietro: “non è una questione di soldi, ma di principio” e poi è sempre per soldi.  Può, infatti, un progetto che gli stessi promotori ritengono innovativo, portatore di posti di lavoro e centro d’eccellenza fermarsi perché la Regione non dà i soldi che gli stessi dichiarano non determinanti? Delle due l’una. In fondo se non è solo chiacchiera e il Progetto è veramente valido, non sarà impossibile, per i protagonisti, sindacato compreso, mettere sul piatto un poco di quei soldi che poi rientreranno dai guadagni di un Progetto di eccellenza.  Pensiamo al sindacato Cgil (ma anche alla Cisl), dopo le parole sarebbe finalmente un primo segno concreto se prestasse una parte di quei soldi non arrivati dalla Regione. La Cgil ha oltre 40.000 iscritti, ha raccolto una vagonata di soldi per il servizio dei Caaf, è da almeno 10 anni che promette di mettere i pannelli fotovoltaici sulla sua sede, (quelli che potrebbe produrre la Cittadella della Luce) raddoppiate questi numeri con i dirimpettai della Cisl e si è già a metà dell’opera e forse di più.

Soci forti e moderni in un Progetto a cui fino ad ora hanno sempre trovato a chi addossare la colpa dei ritardi…. Potrebbero essere motore anche di un azionariato popolare. Lecco, i suoi cittadini, potranno dare gambe a questo Progetto d’eccellenza se sindacati, Istituzioni e imprese promotrici, ne saranno garanti. O, alla fine, anche questa volta era tutta luce artificiale che si può spegne con un semplice click?

Noi ne abbiamo già parlato qui e qui e ancora qui

UN’ALTRA FINANZA E’ POSSIBILE. CONCRETAMENTE

Abbiamo vinto un premio prestigioso, lo ritira, anche per noi, Mag2.

Il latte è bianco. Ma lo senti, se chiudi gli occhi, il profumo della terra. Il verde delle colline mista di gialli e rossi sopra i campi, verde di erba ancora sui terrazzamenti. Perché il sapore del burro, delle caciotte, del grana, delle mozzarelle, degli yogurt,  viene da lì. Un latte, un profumo, un cammino a ritmi di una civiltà che ti si ripropone davanti. Una storia che, per un’azienda, stava per chiudere. Di colpo, come il latte bollente che straripa dal pentolino e spegne il gas. Ed invece, questa storia, questa azienda, è stata salvata dal fallimento grazie ad un esperimento di finanza “dal basso” interessante, specie in tempi in cui più di un’impresa su dieci fatica ad avere accesso al credito. Una fatica comune perché le banche ed il sistema del credito non finanziano sufficientemente il futuro ma la speculazione.

Era il 4 gennaio 2009. Domenica. Ricevemmo via mail come altri, soprattutto Gas, Gruppi di Acquisto Solidale, i clienti del Biocaseificio F.lli Tomasoni, la lettera che, come ogni anno, ad inizio anno, serviva per tracciare un bilancio consuntivo dell’anno appena chiuso e una traccia di quello appena  iniziato. Una lettera, una mail, ordinaria. Pensavamo.

Non era così. Era un grido di aiuto, in punta di piedi e con l’educazione dei contadini, sobria, modesta, dignitosa. Ma anche con poca pochissima speranza. Le bastonate della vita, i muri e le porte delle banche, anche quelle che avrebbero dovuto, dovevano, essere più solidali – più etiche – sempre più alti, sempre più chiuse rendevano un progetto di lavoro di quasi 200 anni – Tomasoni è un caseificio dal 1815 – destinato alla chiusura.

Per un problema di liquidità non di qualità e fatturati. Non colpa del mercato ma dei mercati. Non dell’economia reale ma di quella finanziaria. C’era poco tempo. Non c’era tempo. Un mese. Quel giorno, grazie a Tomasoni, riuscimmo a tracciare e poi concretizzare, un progetto di reale finanzia altra, finanza alternativa. L’opposto dei fondi etici quotati in borsa, che prestano denaro ad aziende che non ne hanno bisogno e tantomeno, va ricordato, del nostro.

Decidemmo di proporre immediatamente a chi ci stava e poteva starci, di salvarlo noi il Biocaseificio Tomasoni. Non un cavaliere bianco, nemmeno un finanziere dei solotti dell’alta finanza, tantomeno un fondo di private equity, per nulla un rentier alla Soros. Semplicemente i suoi clienti.

I Tomasoni erano, sono, gente per bene, molto più di semplici fornitori, erano fratelli. Tra di loro e con noi. Serviva solo trovare gli strumenti, il mezzo, per concretizzare l’altra economia Proponemmo 2 strade, parallele. Il Prefinanziamento della spesa e la sottoscrizione di quote di un “Fondo Tomasoni” tramite una coop o una MAG. Le due strade han dato ottimi frutti. Che non è, ovviamente, il Premio, seppur prestigioso. Ma aver contribuito a salvare un’azienda, con le sue famiglie e la sua qualità, senza diventarne i padroni e aver messo in moto un meccanismo “emulativo”, meccanismo che ha dato forza per altri progetti. Dimostrazione che un’altra finanzza è possibile. Concretamente. Se ne accorse, allora, pure il Corsera a il Sole24ore. (da cui non hanno imparato nulla)

Seppur, com giusto, questo premio è stato consegnato direttamente a Mag2, lo sentiamo molto anche nostro. Non per oggettiva primogenitura o per chissà quale ego da alimentare, ma per poter girarlo e condividerlo anche con voi.

TREMONTI A LECCO: CHIEDETEGLI CONTO NON RICETTE

Tanti imprenditori…non riescono più a capire le prospettive dei mercati. Il sentimento prevalente è l’incertezza che…trascolora in pessimismo. Nel tentativo di rischiarare il buio della congiuntura… del quadro italiano l’Api ha invitato a parlarne l’on.Giulio Tremonti.”

E’ ciò che si legge in un comunicato della stessa Api. C’è da trasecolare.

Se tanti imprenditori oggi, stanno – da soli – difendendosi con i denti da questa crisi è perché, a differenza dei loro competitor europei sono stati abbandonati dai Governi. E soprattutto dal Governo che aveva nel Ministero principe, proprio quel Giulio Tremonti che oggi invitano per farsi chiarire “le prospettive dei mercati, l’incertezza della congiuntura”!!!  La concretezza dei nostri imprenditori arriverà a prenderlo a calci nel sedere uno come lui. Il Debito pubblico/PIL in 4anni è salito da 105 a 120%. Il Pil è precipitato del 3,8%. Tutto questo con 16 manovre di correzione dei conti per 200 miliardi fatte a vanvera. Impoverendo Paese e tessuto produttivo. Se ci aggiungiamo che le imprese non vengono pagate dallo Stato per colpa del Patto di Stabilità inventato proprio da quel Tremonti c’è da star allegri. Lo stesso Tremonti, da cui gli imprenditori dovrebbero pendere dalle labbra, è tra i principali artefici di questa crisi italiana oggi incancrenita ben peggio di troppi altri Paesi.

Tremonti continua a raccogliere consensi. Eppure il debito cresciuto senza portare benessere, le tasse mai così alte, il tasso di disoccupazione mai così critico, un rapporto Deficit/Pil che più terribile non si può etc. sono sotto gli occhi di tutti. Riguardare tabelle, dati, rapporti di Banca d’Italia, Istat, Eurostat, Ocse fa si che la politica del “rigore” di Tremonti sia stata un falso percettivo. Tremonti non ha gestito i conti pubblici ma ha solo spostato poste di bilancio su finestre temporali “comode”. Ha ereditato un ottimo avanzo primario sopra il 5% da Prodi ed è riuscito a portarlo in negativo. Nel modo peggiore, aumentando la spesa corrente quella che produce voti ma non pil. Figuriamoci risultati. Basterebbe infine citare un rapporto Ocse dove si leggeva che l’Italia di Tremonti “non riesce a sfruttare i benefici della ripresa del commercio globale”.

Andrebbe invitato (perciò) per chiedergli solo conto, non per chiedergli ricette.

SE TUTTO CIO’ CHE HAI E’ UN MARTELLO, TUTTO TI SEMBRERA’ UN CHIODO

Sempre interessanti gli interventi de Il Tirabagia su La Provincia di Lecco. Stimolanti. Questa volta (1 giugno, pag13) affiancato a Marco Campanari ne esce però un quadro che non mi convince appieno. Entrambi dicono la verità ma non la dicono tutta.

Sono imprenditori, senz’altro capaci, ma come si dice, se tutto ciò che hai è un martello, tutto ti sembrerà un chiodo.

Come una cantilena, come voler ributtare la palla nel campo avverso, imputano le colpe dei ritardi, delle inefficienze, al “Sistema zavorra” al “Sistema Paese”, alle Banche. Non che non sia vero ma anche un poco di autocritica? Non si legge una frase, una riga, una parola, che individua almeno come corresponsabili le imprese stesse, gli imprenditori. C’è chi ragiona per problemi e chi ragiona per soluzioni. Ma se addirittura si rimuovono alcuni problemi, tanto più se causati da se stessi, e quindi potenzialmente più facili da risolvere, diventa difficile mettere in campo soluzioni efficaci. Il guaio è che questo non giova per nulla né agli stessi imprenditori nè tantomento serve a farci uscire dalla crisi economica.

Non ho nessuna competenza imprenditoriale ma ho decenni di impiego nel mondo del Credito. Non mi sfiora nemmeno l’idea di difendere le banche, mi limito soltanto ad aggiungere, al ragionamento, quello che Il Tirabagia e Campanari, ma non solo loro, non vedono, non affrontano, non dicono.  La quantità, impressionante, di imprenditori che già negli anni passati e per anni, hanno sottratto denari all’Azienda. Tutto legalmente. Intendo che non hanno investito. Gli utili, molti, troppi, utili sono diventati solo ricchezza personale.  Meno legalmente, una quantità, impressionante, di imprenditori per anni, hanno esportato non merce ma ricchezza e liquidità nei paradisi fiscali, soprattutto qua ad un passo, giusto oltre il lago. E’ un dato oggettivo. L’ammontare dei capitali scudati è stato di oltre 180 miliardi di euro. E solo nell’ultima tranche, una parte appena più consistente è stata rimpatriata per metterla nell’azienda. Si giocava in borsa, si compravano polizze assicurative, gestioni patrimonali, trust, si faceva denaro con denaro.

Oggi si le Banche hanno, in gran parte, chiuso i rubinetti del credito e soprattutto aumentato lo spread, i loro margini per finanziare l’impresa, ma è bene ricordare che diminuendo da tempo fatturati e commesse diminuiscono anche gli investimenti ed, in parte, la necessità di denaro. La vergogna vera è che le banche il denaro lo fanno pagare troppo, troppo (e immotivatamente) caro. E non si fidano, (solo in parte a ragione), dei loro clienti. Ma, domando, le aziende lo chiedono ancora così alla grande questo credito o si son fermate anche loro? Non è che uno può, infatti, chiedere prestiti all’infinito. Ancor prima di con che redditi li garantisce, con che redditi li ripaga? E se non investono gli imprenditori nella loro azienda perché deve investirci la Banca?

Ma l’aspetto, cronico, che il Tirabagia e Campanari eludono, imputando le colpe dei ritardi, delle inefficienze, al “Sistema zavorra” al “Sistema Paese” è il perché i concorrenti europei progrediscono e mandano le nostre PMI fuori mercato. Sono molto recenti i dati, davvero impressionanti, di una ricerca del 2011 del Prof. Riccardo Gallo secondo cui il periodo di ammortamento medio dei beni strumentali delle imprese italiane è di 26 anni, mentre quello delle imprese europee (Francia, Germania ed altri paesi del nord Europa) è di 13 anni. Ciò significa che questi sono anche i periodi in cui le imprese italiane e tedesche rinnovano i loro beni strumentali, acquisendo nuove e più avanzate tecnologie. E questi ritardi si cumulano nel tempo, spingendo tante nostre imprese fuori mercato. Ma appena 8 anni prima, nel 2003, le imprese italiane erano all’incirca sulla linea delle altre, con un periodo di ammortamento medio dei loro beni strumentali di 16 anni. Guarda caso, mi vien da sottolineare, questo avveniva prima della grande ondata di precarizzazione del lavoro dovuta alla c.d. Legge “Biagi/Maroni”, il Decreto Legislativo n° 276 del 2003.

E’ solo un caso?

Finchè i vari Tirabagia e Campanari auspicano, nei fatti, una maggior flessibilità del lavoro saremo perdenti. Tutti. Noi e gli imprenditori. Se l’impresa non può licenziare facilmente il lavoratore è portata ad investire in impianti, macchinari, formazione, formule organizzative più efficienti, ecc. per far rendere al massimo il lavoro. Se, invece, l’impresa può mandare via quando vuole il lavoratore precario non ha interesse a fare gli stessi investimenti o ce l’ha in misura molto minore, tanto pensa di guadagnare grazie al minor costo del lavoro. Lo dicono i dati, i numeri. La realtà.

Non è un caso, quindi, che gli anni della precarizzazione del lavoro (dal 1995 in poi, ma soprattutto dal 2003 in poi) siano anche gli anni del crollo della produttività del lavoro e degli investimenti delle imprese. C’è chi dice, e io sono d’accordo, che la precarietà del lavoro ha portato alla precarietà dell’impresa italiana, alla sua bassa innovatività ed al declino complessivo della nostra economia.

Mi permetto, sommessamente, di portare anche questi elementi all’attenzione dei tanti Tirabagia. A partire, ovviamente, dall’originale. Contando sulla sua acutezza.

LE TASSE E LE DICHIARAZIONI

Dopo aver letto il titolo “A Lecco si evade per non morire” e relativo articolo con le dichiarazioni pseudo- giustificatorie del presidente di Confesercenti Giorgio Rughetto non può che rafforzarsi la convinzione che c’è in giro, anche a Lecco, troppa gente che ammanta di nobili ideali il tipico vizziaccio italiano di farsi gli affaracci propri. Questi comportamenti e questi estensori sono pubblicamente da biasimare, non credete?