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ROBIN HOOD E’ IMPAZZITO

Il Credito imPersonale

Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti.

Così ci ricordava Ettore Petrolini.

 

Gli Italiani, infatti, stanno ipotecando il loro futuro economico un poco perché non arrivano oggettivamente alla fine del mese, molti per acquisti futili. Aumenta, infatti, il numero di richieste rivolte a Banche e finanziarie per finanziare viaggi, palestre, auto, televisori, sedute di estetica, mani e bocche da rimodellare a uso e consumo della moda del momento e delle tasche altrui.

Soprattutto di chi presta il denaro, presentando poi il conto.

 

Se il Gioco del Lotto è lo strumento semivolontario per impoverirsi, utilizzato prevalentemente dal ceto meno abbiente (con il consenso sponsorizzato da parte dello Stato), nella speranza di trasformarsi in quello che non è: economicamente ricco, un altro strumento, devastante, si sta facendo sempre più largo il cui unico scopo è sempre lo stesso: impoverirci.

Attraverso la redistribuzione del capitale, che passa dal povero al ricco.

Sto parlando del nuovo business delle banche: il Credito Personale, altresì detto credito al consumo. Si tratta di forme di prestito – normalmente di media entità, ma in crescita – che senza giustificativi reali di spesa, le banche e le finanziarie “elargiscono” al cliente privato perché possa pagare a rate i suoi acquisti. L’importo dei prestiti maggiormente concessi con questa formula nel 2006 si aggira sui 12.000 euro, risarcibili in quattro anni.

Per un volume totale di 85 miliardi di euro complessivi.

Una cifra pari a tre finanziarie… e purtroppo in crescita vertiginosa visto che rispetto al primo semestre 2006, nel secondo si è registrato un incremento di “elargizioni” pari al 20%.

Le favole, si sa, non appartengono alla vita reale, e meno che mai a quella delle banche.

Infatti non c’è nessun Robin Hood in giro, e più che nella foresta di Sherwood, qui ci troviamo in una giungla di offerte, con l’aggravante che è infestata come una palude di coccodrilli.

Sfruttando ed incentivando la spirale del consumo – secondo un modello per cui si è accettati e riconosciuti solo in quanto acquirenti – le banche spingono i cittadini ad aver sempre più bisogno di soldi.

Attraverso il meccanismo dell’aumento della disponibilità del credito, questi consumano, spendono, si indebitano in un vortice senza fine. Le finanziarie e le carte di credito rateizzano lo “scoperto” e favoriscono spese oltre le effettive possibilità personali. All’inizio sembra una cuccagna, ma ben presto ci si accorge di essere più poveri di prima, e che si fa sempre più fatica ad arrivare alla “quarta settimana”.  Stiamo assistendo all’impoverimento collettivo e sistematico della famiglia media. La politica che fa? Al posto di analizzare e risolvere il problema permette l’imperversare del sistema. Invece di legiferare ponendo un freno a questi veri e propri strumenti di impoverimento, e alla modulazione e calmierazione dei tassi (oggi anche facilmente del 20%) al massimo si comporta come un analgesico: nasconde il mal di testa ma non risolve la causa. È abbastanza comune – e preoccupante – constatare che le persone fanno prestiti per pagarsi altri prestiti. In gergo tecnico si dice: consolidare il debito.

Qualche anno, e sarà chiaro a tutti che il paese è collassato. La Banca D’Italia ci ricorda che in dieci anni il rapporto tra il debito delle famiglie e il loro reddito disponibile è salito dal 32 al 50%.

Dati da paura, per noi italiani abituati al risparmio. Quello di cui dovremmo renderci conto è che così ci finanziamo l’insolvenza economica della nostra stessa vita, non l’aumento del benessere.
Per di più sotto stretta osservanza – spiati da un grande fratello – una Banca Dati che i più non sanno neppure che esiste.

 

x Tra Terra e Cielo settembre 2007 

il VDay di GRILLO dura un giorno solo

 


E’ stato un enorme e meritato successo il V-Day organizzato da Beppe Grillo. Oltre 300.000 individui che fanno la fila per firmare un appello chiaro e in larga parte indubbiamente condivisibile sono, un fatto raro fors’anche unico. Spero non irripetibile.

Però, suvvia, è altrettanto fuori di dubbio che tutta quella gente in coda sembra proprio sbucata dal nulla. E credo proprio nel nulla subito dopo destinata a ritornarci, neppure poi così tanto spinta ma volontariamente incolonnata come nell’abituale cassa di un supermercato, su una qualsiasi strada dentro la propria auto. Sola.
Non vuole, e non è, una critica all’iniziativa e tantomeno ai molti ragazzi del Meet up di Grillo ce ne vorrebbero di così attivi, capaci e caparbi.

Ma resto dell’idea che bisogna fare un salto (più) in alto, non per schiaffeggiare, insultare il politico dall’alto della sua Poltrona (bella l’enorme sedia che campeggiava simbolicamente in piazza nella mia città, Lecco) e poi come nulla fosse tornare a votarli o a farsi gli affari propri e rimettersi in coda, al supermercato e in auto.
Serve quella scintilla della partecipazione, dell’interessarsi alla “cosa pubblica” a pratiche alternative e non di alternanza, alla denuncia che possano quotidianamente allontanare, delegittimare la Casta, il Potere. Chiedere, insistere, perché la costruzione delle decisioni della Politica (soprattutto locale) siano partecipate, che la trasparenza, non solo dei compensi, ma delle nomine, dell’attribuzione delle consulenze, dei copntributi per zittire, per accomodare, siano preventive.
Che le deleghe non siano–date e ritenute–in bianco.
Che il clientelarismo–basti vedere i ruoli nelle ex municipalizzate e gli incarichi negli enti locali, non siano cattivi e sbagliati solo se fatte dallo schieramento opposto.

E che le politiche, gli atti, i pronunciamenti della Casta politica e sociale che sono evidenti muri che vogliono dividere–e dividono–i forti dai deboli, gli inclusi dagli esclusi, i iserabili dai privilegiati, vengano denunciate e condannate. Indipendentemente da chi le dice, da chi le fa. Anzi soprattutto da chi si ritiene più vicino.
Altrimenti è solo qualunquismo, facile poplusimo, forse invidia dei privilegi della Casta, il berlusconismo (di destra e sinistra) non è ne marginale ne in diminuzione (né a Lecco nè in Italia).
Servono meno Guru e santi e più collettività, più interessi comuni, contro tutte le Caste, tutti i Poteri.
Dobbiamo riuscire a ricomprendere che è necessario trasformare lo stato delle cose esistenti.
Bisogna fare Comunità. Libera, egualitaria, solidale.
Il V-Day dura un giorno solo.
E non ha riempito le Piazze di popolo, di comunità
Ha solo messo in fila individui. Soli.

9 SETTEMBRE 2007

 

SI PAGANO VERAMENTE ALTE TASSE A LECCO?

Si pagano veramente alte tasse locali in Provincia di Lecco? Qual è il parametro, oggettivo o quantomeno condiviso, per stabilirlo? dalla stampa, nemmeno negli articoli molto approfonditi, non si riesce sinceramente a comprenderlo. Seppure tutti lo danno per scontato che siano veramente alte.

Tutti, si vede, hanno scelto di cavalcare la facile onda che ritiene le Tasse una brutta bestia, le nemiche del popolo. A prescindere? Vorrei quantomeno chiedere anche di girarla la medaglia, di attaccarci un pezzetto di ragionamento.
Di provare a rispondere nel merito alle domande che sarebbe utile porci.
Si pagano veramente alte tasse locali in Provincia di Lecco? Qual è il parametro, oggettivo o quantomeno condiviso, per stabilirlo?

Senza, mi guardo bene dal proporlo, ri-cominciare a ritenere in primis le Tasse lo strumento che lo Stato – l’Ente pubblico – si è dato per ridistribuire la ricchezza ed erogare i servizi.
Siamo favorevoli – almeno per chi ha un ordinario senso civico – nel ritenere corretto che più alto è il reddito prodotto, proporzionale (progressiva, c’è scritto nella Costituzione) deve essere la tassazione?

Da qui allora proviamo ad andare oltre. Riteniamo che i servizi erogati, in questo specifico caso dagli Enti locali, siano adeguati? Coprono i 5 euri quotidiani – di media – che versiamo nella Nostra Cassa pubblica? Se non ci soddisfano, ed a me non soddisfano pienamente, forse dobbiamo lamentarci di questo. Che non è la stessa cosa, è ben tutt’altra cosa, dal sostenere lo “sciopero fiscale”
5 euri al giorno versati nella nostra cassa pubblica non sono buttati – secondo me – se servono a introdurre il biologico in forma massiccia nelle mense scolastiche o a prevedere un Centro cottura intercomunale per questi pasti a basso impatto ambientale, e perché non sperare che con queste il proprio Comune ristrutturi i propri immobili con criteri di bioarchitettura/edilizia, solo per fare degli esempi?

Forse il nocciolo sta proprio qui: insieme dovremmo essere anche coinvolti in maniera partecipativa e responsabile alla costruzione delle decisioni.
E in primis dovremmo chiederci – non se sono alte o basse le tasse ma come vengono spesi – dai nostri Enti Locali – questi nostri 1855 euri l’anno.
Sarebbe fare Comunità, sarebbe anche un buon metodo contro l’Antipolitica oggi fortemente permessa, da molti di noi, a questa Classe politica locale e nazionale.

 

LE 8 R DELLA DECRESCITA: 8 obiettivi interdipendenti

La “società della decrescita” presuppone, come primo passo, la drastica diminuzione degli effetti negativi della crescita e, come secondo passo, l’attivazione dei circoli virtuosi legati alla decrescita: ridurre il saccheggio della biosfera non può che condurci ad un miglior modo di vivere. Questo processo comporta – secondo Serge Latouche – otto obiettivi interdipendenti, le 8 R: rivalutare, ricontestualizzare, ristrutturare, rilocalizzare, ridistribuire, ridurre, riutilizzare, riciclare. Tutte insieme possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica.

Rivalutare. Rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, cambiando quelli che devono esser cambiati. L’altruismo dovrà prevalere sull’egoismo, la cooperazione sulla concorrenza, il piacere del tempo libero sull’ossessione del lavoro, la cura della vita sociale sul consumo illimitato, il locale sul globale, il bello sull’efficiente, il ragionevole sul razionale. Questa rivalutazione deve poter superare l’immaginario in cui viviamo, i cui valori sono sistemici, sono cioè suscitati e stimolati dal sistema, che a loro volta contribuiscono a rafforzare.

Ricontestualizzare. Modificare il contesto concettuale ed emozionale di una situazione, o il punto di vista secondo cui essa è vissuta, così da mutarne completamente il senso. Questo cambiamento si impone, ad esempio, per i concetti di ricchezza e di povertà e ancor più urgentemente per scarsità e abbondanza, la “diabolica coppia” fondatrice dell’immaginario economico. L’economia attuale, infatti, trasforma l’abbondanza naturale in scarsità, creando artificialmente mancanza e bisogno, attraverso l’appropriazione della natura e la sua mercificazione.

Ristrutturare. Adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita, così da orientarli verso una società di decrescita. Quanto più questa ristrutturazione sarà radicale, tanto più il carattere sistemico dei valori dominanti verrà sradicato.

Rilocalizzare. Consumare essenzialmente prodotti locali, prodotti da aziende sostenute dall’economia locale. Di conseguenza, ogni decisione di natura economica va presa su scala locale, per bisogni locali. Inoltre, se le idee devono ignorare le frontiere, i movimenti di merci e capitali devono invece essere ridotti al minimo, evitando i costi legati ai trasporti (infrastrutture, ma anche inquinamento, effetto serra e cambiamento climatico).

Ridistribuire. Garantire a tutti gli abitanti del pianeta l’accesso alle risorse naturali e ad un’equa distribuzione della ricchezza, assicurando un lavoro soddisfacente e condizioni di vita dignitose per tutti. Predare meno piuttosto che “dare di più”.

Ridurre. Sia l’impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare che gli orari di lavoro. Il consumo di risorse va ridotto sino a tornare ad un’impronta ecologica pari ad un pianeta. La potenza energetica necessaria ad un tenore di vita decoroso (riscaldamento, igiene personale, illuminazione, trasporti, produzione dei beni materiali fondamentali) equivale circa a quella richiesta da un piccolo radiatore acceso di continuo (1 kw). Oggi il Nord America consuma dodici volte tanto, l’Europa occidentale cinque, mentre un terzo dell’umanità resta ben sotto questa soglia. Questo consumo eccessivo va ridotto per assicurare a tutti condizioni di vita eque e dignitose.

Riutilizzare. Riparare le apparecchiature e i beni d’uso anziché gettarli in una discarica, superando così l’ossessione, funzionale alla società dei consumi, dell’obsolescenza degli oggetti e la continua “tensione al nuovo”.

Riciclare. Recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre attività.

IO NON CI STO CAPENDO PIU NULLA

Cara Finansol.it /cara Criticamente
ho letto la notizia del tuo sito: “IntesaSanpaolo ha annunciato di uscire dalle Banche Armate”. Bella notizia. Ma è anche vera? Io non ci sto capendo più nulla.

Sarà che la testa mi rimbomba da settimane con la pubblicità palese e nascosta del lancio della nuova 500. L’auto dell’Italia! Però strano, la fanno in Polonia.

Su una moltitudine di siti internet – anche questo – viene appunto riportata la notizia che IntesaSanPaolo esce dalla Banche Armate. Non capisco se è cambiato il prodotto, ma sono ancora di fronte al marketing. In questo caso dobbiamo, insieme, applaudire i creativi della banca. Io sono dell’idea, infatti, che sarebbe meglio che questi annunci non trovino spazi così ridondanti ed acritici.

Per più motivi: il primo più semplice è che sono soprattutto pubblicità gratuita (anche perchè non vi pagano) ad una banca che è l’emblema della finanziarizzazione dell’economia, di un’economia altra alla nostra.
Il secondo proprio perché ha scopo pubblicitario sarebbe utile verificare la notizia, non vuole essere un paradosso ma la segnalo, in altre parole, dopo che questo pronunciamento si è verificato, mi sembra che non sia la prima volta, infatti, che le banche dicano una cosa e ne facciano altre su questo tema delle armi: (Intesa, Unicredit, BPMilano…)
Il terzo è che la Legge 185 – che resta una buona Legge – ha così tante scappatoie che non è verificabile totalmente se l’enunciato è poi stato rispettato. Mi sembra di non dire cose così nuove: lo stesso Gianni Caligaris del Cda di Banca Etica o il Presidente delegittimato di BPM (Mazzotta) convengono su questo, sebbene loro lo strumentalizzino per ridurre l’aspetto negativo della presenza di BPM, socia di Banca Etica, in questa lista.
Non so se è possibile nascondere la presenza facendo concludere l’affare attraverso un conto aperto su una banca estera partecipata del gruppo: in Cina, Turchia, Russia, Albania o Croazia o sia sufficiente concordarsi con un’altra Banca per girare a Lei l’affare in cambio di un intervento di quest’ultima in altre proprie operazioni contabili/finanziarie. Ma so invece che una settimana prima dell’annuncio di IntesaSanpaolo, anche questo sito ha riportato come la controllata Caboto SIM abbia per ragioni di regolamenti dovuto segnalare alla Borsa che il Gruppo Intesa ha partecipazioni e rapporti finanziari con realtà che delle armi hanno fatto un business fiorente. Finmeccanica in primis, Unicredit…
Allora a questo punto mi pongo e pongo 2 domande: è reale che una Banca delle dimensioni di IntesaSanpaolo possa troncare i rapporti con queste realtà? Cioè, in altre parole, uscire dalla banche armate non significa o dovrebbe significare non avere rapporti, di nessun genere, (conti correnti, garanzie/pegni, depositi, azioni, obbligazioni, bonifici…) con queste realtà? Ma soprattutto non è forse il caso di non legittimare – armata o non armata – una banca tradizionale essenza tentacolare della finanza dove il profitto è al primo posto? Non è il caso, vale la pena ribadirlo, di cogliere l’occasione per rilanciare la reale sfida di un uso alternativo del denaro, che non può proprio essere conciliante con questo modello di sviluppo, con questo tipo di banche che, oltre alle armi giocano con la speculazione, con i cambi, con i paradisi fiscali, con il capovolgimento della redistribuzione del capitale/reddito dal povero al ricco (pensiamo al credito al consumo), con le stock options milionarie dei manager, con la precarizzazione e sfruttamento del lavoro? Che sono impregnate della religione del massimo profitto a tutti i costi… che sono in due parole: finanza e non economia?
Perché altrimenti, banalmente, hanno ragione IntesaSanpaolo o Nestlè (armate o non armate che siano). Loro credo senza difficoltà indirizzano più danari alle cause sociali, ai produttori del sud del mondo che tutta la finanza etica ed il commercio equo messi assieme. La Banca Prossima (la banca “etica” di Intesa) ha già 40.000 clienti e notevolmente più danari di tutti.
La Nestlè con il suo caffé equo anche se riconosce solo il 10% dei proventi ai propri produttori contro il 20% di quello delle Botteghe, vendendone il 300% in più dà, di fatto, più danari agli impoveriti.
Dobbiamo rilanciare la sfida di un uso alternativo del danaro con azioni di coinvolgimento diretto, di prossimità, di tangibile esempio che il danaro non è lo sterco del demonio che deve (e può) essere benedetto dalla sola parola etica (o: non armata) ma è etico – con o senza parola – proprio dall’uso alternativo che se ne fa di esso per disegnare/attrezzare nuovi sguardi e mettere a punto nuove mappe cognitive, nuove economie. Parlo di Mag, di Fondi Sociali di prossimità modello Le Piagge, di sostegno diretto alle cooperative, di Banchi comunali di Mutuo soccorso, di monete locali – e di tutto quello che sapremo inventare e sperimentare. Sono sempre più convinto che facendo questo nessuno riuscirà più a scipparci nulla (ne danari ne speranze). E allora si che vedremmo lo stupore che serve, quello di queste banche (armate o non armate) che non si spiegheranno come possiamo fare a meno di loro, come possiamo stare – volontariamente – fuori dal loro sistema.
Un Abbraccio, Paolo Trezzi (Lecco)

STIAMO DANDO I NUMERI

Leggendo delle brutte notizie, spesso, viene da pensare che la società stia dando i numeri. Ma a pensarci meglio, non siamo noi stessi dei semplici numeri della società?

 La stranezza dei numeri
L’altro giorno, dovendo pagare una bolletta, sono andato alla Posta. Entro e scopro una novità: una signora mi dice che “devo prendere il numero”, come dal macellaio. Mi metto in fondo alla fila, entrano altre persone, prendono un altro numero e saltano la fila. Perché? Chi ha un conto corrente in Posta non deve aspettare e passa avanti a tutti gli altri, sia agli anziani in piedi da due ore, sia a chi è costretto a parcheggiare in divieto di sosta sperando di attendere poco, o almeno di sbrigare il proprio dovere prima che venga attanagliato dai crampi.
Ed io che stupidamente pensavo di usufruire di un servizio pubblico.

La svalutazione dei numeri
Torno a casa, mi chiama un’agenzia di lavoro interinale (somministrato, pare si dica così adesso): “Se cerca lavoro, può iniziare domani, si presenti in questa ditta”. Come? Senza colloquio e senza sapere né cosa devo fare né quanto sono retribuito? Il datore di lavoro come fa a valutare se una persona è capace e affidabile? Non importa, a loro serve un certo numero di persone, non delle particolari persone.

La falsità dei numeri
Conosco individui con delle capacità incredibili che non trovano lavoro da mesi o anni, eppure i dati dicono che qui da me c’è disoccupazione (quasi) zero e la nuova occupazione vola. Nessuno ci dice quanto siano precari questi lavoratori e in che condizioni lavorano, però.

Il non senso dei numeri
Accendo la tv. Telegiornale, notizie dalle guerre. Anche oggi un certo numero di morti. Chi erano? Forse è un dato che interessa, aspetto, ma non viene comunicato… evidentemente non è importante sapere chi ha perso stupidamente una vita, in che modo o perché. Meglio non far sapere le loro storie, altrimenti si rischia di avere un’opinione al riguardo.

La strumentalizzazione dei numeri
C’è stato anche uno sciopero. Sentiamo perchè hanno scioperato questi lavoratori.
Niente. “Gli organizzatori dicono adesione al 90%, le imprese al 30%”.
Embè? La causa che ha spinto queste persone a perdere un giorno di lavoro, poche o tante che siano, non ce le dice nessuno? È come se la legittimità e la ragione di una manifestazione siano tali solo se il numero dei partecipanti è elevato, le motivazioni non contano. Assurdo. Così come è impossibile che ci siano dati tanto discordanti fra due fonti differenti.

L’importanza dei numeri
Il tg passa alla politica. I nostri politici aprono ogni loro discorso sventolando sondaggi: ho il 20, 25, 30% dei voti. Ecco il modo in cui viene presa in considerazione una persona, quando ha in mano una scheda elettorale. Non importano cause o speranze che spingono queste persone a votare te anziché un altro. Importa che il numero di chi lo fa s’incrementi e basta, perché proporzionale al potere che il votato riceve.

L’assurdità dei numeri
Non parleranno di sicuro nemmeno questa volta dello Tsunami del dicembre 2004: si sa che si erano stanziati 70 milioni di euro. Dove è o sarà impiegata questa somma, il cittadino non è tenuto a saperlo. Ci sono cifre sparate ed esaltate, mancano i fatti.
Allora provo ad andare a far la spesa, ho il frigo vuoto. Prezzi alle stelle, ovunque. Strano, il dato Istat diceva che il costo della vita non è aumentato. Qualcuno afferma che la mia famiglia ha meno tasse.
Ho la percezione – me lo dice il borsellino – che cifre e percentuali non tornano… ma che cosa mi sarei dovuto aspettare quando si vive in una società basata sui numeri anziché sulle persone? Siamo palesemente degli stupidi numeri. Sempre più prossimi allo zero.
Buone vacanze: speriamo!

X Tra Terra e Cielo luglio 2007

(michele speca)

a forza di essere vento